Associazione sindacale agenti rappresentanti di commercio della provincia di Rimini

Corte Giustizia Europea

18/09/2018
Corte Giustizia Europea

L’indennità di fine rapporto per gli agenti di commercio

Corte giustizia Unione Europea, sez. I, sentenza 23/03/2006 n° C-465/04

Con la sentenza del 23 marzo 2006 la Corte di Giustizia ha definito l’orientamento giuridico che riguarda il riconoscimento e la misura
dell’indennità da riconoscersi in caso di cessazione del rapporto degli agenti e rappresentanti di commercio richiamandosi particolarmente a quanto stabilito negli artt. 17 e 19 della Direttiva 86/653/CEE del 18 dicembre 1986, nell’art. 1751 Cod. Civ. e nelle norme che riprendono la materia indennitaria dagli AEC del 1992 e successivi con lo stesso richiamo di principio che poi ritroveremo negli AEC 30 luglio 2014 Industria, 10 dicembre 2014 Artigianato, 17 settembre 2014 Confapi piccola Industria, 16 febbraio 2009 settore Commercio.
La Corte di Giustizia Europea ai sensi degli artt. 17 e 19 della Direttiva stabilisce che “l’indennità di cessazione del rapporto che risulta dall’applicazione dell’art. 17, n. 2, della direttiva non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest’ultima disposizione a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all’agente commerciale un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della detta disposizione” ed ha chiarito che la natura sfavorevole o meno della deroga alle disposizioni dell’art. 17, consentita dall’art. 19 prima della scadenza del contratto, “dev’essere valutata al momento in cui le parti la prevedono. Queste ultime non possono convenire una deroga di cui esse ignorano se essa si rivelerà, alla cessazione del contratto, a favore ovvero a scapito dell’agente commerciale”.
Secondo la Corte l’eventuale deroga “può essere ammessa solo se, ex ante, è escluso che essa risulterà, alla cessazione del contratto, a detrimento dell’agente commerciale”. Particolarmente importante è il chiarimento contenuto nel par. 28, secondo cui la deroga sarebbe ammissibile “…per
quanto riguarda l’accordo del 1992, nell’ipotesi in cui potesse essere dimostrato che l’applicazione di tale accordo non è mai sfavorevole
all’agente commerciale, in quanto esso garantirebbe sistematicamente a quest’ultimo, alla luce di tutti i rapporti giuridici che possono essere
instaurati tra le parti di un contratto di agenzia commerciale, un’indennità superiore o almeno pari a quella che risulterebbe dall’applicazione dell’art. 17 della direttiva”.
Valutando le disposizioni contenute nell’AEC 20 marzo 2002 del settore industriale alla luce di questo principio, sembra che se ne debba dedurre il contrasto con la norma comunitaria.
Infatti gli artt. 10 e 11 dell’AEC prevedono, da un Iato, che una parte dell’indennità sia corrisposta indipendentemente dall’incremento della
clientela e dai benefici di cui il preponente continui a godere dopo la fine del rapporto (e qui sono senz’altro favorevoli), ma, dall’altro Iato, stabiliscono un criterio di calcolo che in alcuni casi può comportare per l’agente un’indennità inferiore a quella che percepirebbe in applicazione dell’art. 1751 C.C.
Si pensi ad un rapporto di breve durata (ad esempio, un anno) tra un agente monomandatario che ha percepito provvigioni per Euro 100.000,00, ed un preponente che in precedenza non era presente sul mercato per il quale, quindi, tutti i clienti siano stati procurati dall’agente. Si ipotizzi, inoltre, che i clienti, pur acquisiti in un breve periodo possano essere considerati “fissi” e rimangano al preponente anche dopo la cessazione del rapporto di agenzia.
Secondo gli AEC Confindustria del 20 marzo 2002, invece, l’agente avrebbe diritto all’indennità di risoluzione del rapporto prevista dall’art. 10 (I) dell’AEC di Euro 1.433,97, all’indennità suppletiva di clientela prevista dall’art. 10(2)(A) dell’AEC di Euro 3.000,00, e ad un ulteriore importo a titolo d’indennità suppletiva di clientela prevista dall’art. 10(2)(B) dell’AEC di Euro 7.000,00 (il massimo previsto dalla norma).

Il totale, quindi, è di poco superiore ad Euro 11.000,00.

In applicazione del criterio di calcolo contenuto nella Relazione sull’applicazione dell’art. 17 della Direttiva del Consiglio relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti (86/653/CE) del 23 luglio 1996, in presenza di
tutti i presupposti previsti dall’art. 1751, secondo Codice Civile l’agente avrebbe diritto ad una indennità non troppo lontana dal massimo previsto, e quindi superiore a quella risultante dagli AEC.
La Cassazione italiana aveva già affermato che la valutazione della deroga dovesse essere effettuata ex ante e non ex post. (Cass.Sez.Lavoro 30 agosto 2000, n. 11402) “l’art. 19 della direttiva citata vieta alle parti del contratto di agenzia di derogare, prima della sua scadenza, ai precedenti articoli 17 e 18 a detrimento dell’agente commerciale. Non impedisce, però, una modificazione pattizia che non sia pregiudizievole per quest’ultimo e, se una tale pattuizione è concessa a modifica di un contratto già concluso, a fortiori deve ritenersi consentita una deroga, non in peius rispetto alla disciplina legale, in sede di conclusione del contratto. Sta di fatto, peraltro, che il nostro legislatore, nel recepire la norma comunitaria (art. 1751, comma sesto, c. civ., come sostituito dall’art. 4 d.lgs 10 settembre 1991, n. 303) ha omesso l’inciso – prima della scadenza del contratto -, sancendo semplicemente che le disposizioni di cui allo stesso articolo sono inderogabili a svantaggio dell’agente. Non si tratta, dunque, di una inderogabilità assoluta e, se la deroga non pregiudizievole per l’agente è consentita alle parti, non vi sono ragioni per ritenere che analoga deroga non possa essere consentita alla contrattazione collettiva (anche se questa non è dalla norma espressamente annoverata tra le fonti regolatrici, contrariamente all’art. 1751 c.civ. che contemplava le norme corporative), considerato l’ampio spazio che alla rappresentanza delle organizzazioni sindacali di categoria riserva l’ordinamento italiano…” Ammessa la derogabilità, la Cassazione ha affermato che “…la valutazione se la regolamentazione pattizia sia o non pregiudizievole per l’agente rispetto a quella legale – con la conseguenza, nella prima ipotesi, della nullità delle clausole relative – deve essere operata ex ante, non potendosi né sul piano obiettivo né su quello dell’affidamento
delle parti, specie in un rapporto di durata, giudicare della validità delle clausole del negozio costitutivo che tale rapporto sono destinate a regolare nel suo ulteriore svolgimento (e che costituiscono dunque un prius logico- giuridico), alla luce del risultato economico (il quale rappresenta una conseguenza del rapporto) che al momento della sua cessazione le parti concretamente conseguirebbero a seconda che si applichi il regime convenzionale o quello legale…”. Nella sentenza Cass. Sez.Lavoro 29 luglio 2002, n. 11189) rivisita la precedente decisione “…alla luce della lettera e dello spirito della nuova disciplina contenuta nell’art. 1751 codice civile, affermando la prevalenza la disciplina codicistica sulla contrattazione collettiva tutte le volte che l’applicazione del criterio stabilito dalla legge conduca ad un trattamento in
concreto più favorevole all’agente”. Stesso orientamento nella sentenza (Cass. Sez. Lavoro 27 marzo 2004, n. 6162, dove però non ha potuto
verificare se gli AEC del 1992 fossero sfavorevoli all’agente poiché “…i ricorrenti si limitano a rilevare che l’accordo ponte costituisce una normativa del tutto diversa da quella stabilita dalla normativa comunitaria in quanto il primo assicura all’agente un trattamento di fine rapporto, pur se modesto, tuttavia disancorato dai requisiti meritocratici di cui all’art. 1751 c. civ., ma non dimostrano affatto che siffatto disancoramento sia, ‘a priori’ (e contrariamente all’apprezzamento fattone dalle stesse parti sociali stipulanti), sfavorevole in linea di principio all’agente di commercio, che cioè sia meno vantaggioso assicurare a tutti un trattamento minimo per scaglioni e percentuali sull’ammontare delle provvigioni riscosse durante tutta la durata del rapporto, anziché computato sui risultati della gestione degli ultimi cinque anni (non sempre e non necessariamente favorevoli all’agente e non necessariamente determinati dalle sole sue capacità operative, e non anche dalle condizioni oggettive del mercato e dell’impresa preponente nonché dalla politica commerciale della stessa, in termini di promozione del marchio e dello specifico settore dei prodotti commercializzati tramite gli agenti, di propaganda e simili).” La sentenza della Corte di Giustizia, dunque, è importante non soltanto per la definitiva affermazione della necessità che la valutazione se la deroga alla Direttiva sia effettuata ex ante, ma anche per i criteri interpretativi contenuti nei paragrafi 28 e 29 della decisione, secondo i quali le deroghe sono ammissibili soltanto quando possa essere dimostrato che l’applicazione di un AEC “…non è mai sfavorevole all’agente commerciale, in quanto esso garantirebbe sistematicamente a quest’ultimo, alla luce di tutti i rapporti giuridici che possono essere instaurati fra le parti di un contratto di agenzia
commerciale” In conclusione il principio affermato sull’eventuale disconoscimento della indennità vale solo se tale la clausola è presente nei contratti sottoscritti anteriormente alla entrata in vigore della prima direttiva n.86/56/CEE. E’ assai improbabile che esistano ancora oggi a distanza di oltre 30 anni contratti di agenzia cosi datati.